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I Parte - Lon Chaney, il trucco e il suo personaggio

Alle spalle di un’inquadratura esteticamente perfetta sono precedute discussioni riguardanti diversi effetti, fra i quali l’uso delle luci, l’angolazione di ogni inquadratura e correzioni cromatiche; senza dimenticare che un grande riconoscimento è da riservare agli artisti del Make Up. Lon Chaney, a cent’anni di distanza, è considerato uno dei più grandi innovatori del trucco cinematografico.

Lon Chaney

Storia del trucco cinematografico. Dal teatro al cinema

A cosa pensiamo quando parliamo di “trucco teatrale e cinematografico”? I primi fotogrammi che ci vengono in mente fanno riferimento all’immaginario comune: vediamo il bianco cerone teatrale ed effetti speciali come finte lacerazioni e nasi posticci, volti mostruosi da film horror e creature bestiali come quelle che, fin dalla nascita del cinema, hanno alimentato la fantasia di moltissime generazioni. Anche oggi, malgrado il nostro occhio sia ormai abituato ad accogliere ogni tipo di creatura prodotta per il grande schermo, non possiamo fare a meno di apprezzare i dettagli, i giochi di ombre che rendono un personaggio particolarmente realistico, il viso scavato di un uomo malato, spaventoso o semplicemente perfetto dal punto di vista estetico. Truccare significa infatti valorizzare il più possibile le potenzialità espressive di un volto il quale, non può essere semplicemente ricoperto da uno strato di fondotinta per nascondere le imperfezioni cutanee, ma renderlo adatto a esprimere appieno una personalità che si adatti al personaggio che l’attore dovrà interpretare. Al giorno d’oggi sappiamo che alle spalle di un’inquadratura esteticamente perfetta sono precedute discussioni riguardanti diversi effetti, fra i quali l’uso delle luci, l’angolazione di ogni inquadratura e correzioni cromatiche; non dobbiamo però dimenticare che un grande riconoscimento è da riservare agli artisti del Make Up: figure che spesso restano nell’ombra ma che, nella storia del cinema, hanno avuto un’importanza fondamentale.

Lon Chaney with makeup kit

Noi di Rasa Film abbiamo pensato di dedicare la prima parte di questo post alla storia del trucco cinematografico, a tutti quegli ostacoli contro i quali svariati attori e artisti hanno dovuto confrontarsi nel passaggio fra teatro e cinema e a quei pionieri del make up i cui nomi sono tutt’ora ricordati ​​ e riconosciuti a livello mondiale. In seguito, cercheremo invece di soffermarci su uno dei più grandi pionieri della “maschera”; un uomo che ha dovuto combattere per dimostrare al mondo del cinema il suo genio ma che oggi, a cent’anni di distanza, è considerato uno dei più grandi innovatori del trucco cinematografico: LON CHANEY.

Cenni storici. Dal cerone del 1700 all'Oscar nel 1982

Cominciamo dal principio e cerchiamo di analizzare l’ambiente che circondava gli attori nel corso del XVIII secolo: il teatro. Nel 1700 infatti, l’illuminazione teatrale era ancora affidata alla calda luce di candele e lampade a olio che davano alle scene e ai volti degli attori sfumature morbide e ambrate. Per rendersi visibili anche al pubblico più lontano, gli interpreti erano quindi costretti a usare una base di cerone piuttosto spessa, un trucco esagerato che permettesse alla loro espressività di raggiungere anche le ultime file.

I primi cambiamenti arrivano nel 1800, quando fece capolino anche a teatro la luce a gas: bianca e abbagliante questa nuova fonte aveva l’effetto contrario, eliminava qualsiasi ombra dal volto dell’attore facendolo risultare piatto e inespressivo. ​ L’unico rimedio per ridurre questo spiacevole inconveniente era quello di cospargere il viso di poltiglie create mescolando fra loro polveri e grassi di diversa origine fra i quali cera d’api, lanolina, lardo e strutto. Il risultato di questa speciale “pozione” venne ​​denominato "Greasy", denso al punto che per eliminarlo gli attori necessitavano di un grasso ulteriore come, ad esempio, il burro di cacao.

Curiosità: nel corso di questi primi anni, uno dei maggiori pionieri nel campo del make up fu Ludwig Leichner; il quale fornì gli attori di ceroni a forma di bastoncino.

Pubblicità per "Leichner's Fettpuder" nel booklet del Berlin Variety Stage Scala, 1926 © Stadtmuseum Berlin

Man mano che gli anni passavano gli attori divennero sempre più abili nel maneggiare grassi e polveri ma, se questa soluzione andava bene in teatro, gli stessi risultati si rivelarono disastrosi in un ambiente diverso: il cinema. Gli artisti dovettero ricominciare tutto dal principio il giorno in cui furono costretti a confrontarsi con la pellicola cinematografica e tutto ciò che essa comportava: i tempi d’attesa, le forti luci del set o lo stesso calore del sole finivano per lasciare visibili tracce di sudore sul viso e evidenti differenze fra un’inquadratura e la successiva.

La prima pellicola a comparire sul mercato era prodotta dalla Kodak e aveva una caratteristica che venne denominata ORTOCROMATICA: sensibile ai raggi ultravioletti, violetti e blu, poco al giallo e per niente al rosso. Questa registrava i colori freddi come il blu e il viola con tinte grigio chiaro o bianco, al contrario delle tonalità calde che venivano invece registrate come un grigio scuro o addirittura nero. La chiara conseguenza era quella di ottenere immagini in cui il viso degli attori assumeva tonalità decisamente poco realistiche.

Per limitare i danni dovuti alla pellicola ortocromatica alcuni attori utilizzavano le stesse tecniche teatrali: si cospargevano la pelle di cerone e colori che smorzassero gli effetti falsati ma senza ottenere risultati apprezzabili. Il volto tendeva a risultare itterico e gli occhi troppo scuri.

Curiosità: le attrici dell’epoca cercarono di ricorrere a colori molto scuri per tingere le labbra con rossetto rosso o greasepaint marrone e, allo stesso modo, per ottenere occhi profondi e seducenti, usavano ombretti molto scuri, ciglia finte che circondavano tutte le palpebre, ombretto sbavato sulla parte inferiore dell’occhio e una gran quantità di mascara.

Max Factor - Panchromatic Make-up (greasepaint)

Le sopracciglia venivano curate al dettaglio ottenendo quell’effetto da silent movie oggi così noto: scure e sottili. Per essere davvero perfette molte attrici finivano per levarle del tutto sostituendole con un arco disegnato direttamente a matita. Grazie al trucco, le donne scoprirono di poter correggere i difetti del loro viso: tingendo di verde le palpebre ottenevano, in fotografia, una tonalità grigio chiaro che aiutava ad annullare l’effetto degli occhi leggermente sporgenti. Il doppio mento invece, poteva essere cancellato usando il rosso che avrebbe causato un’ombra apparente.

In un articolo tratto da Enciclopedia Britannica (Londra - 1929), sarà lo stesso Lon Chaney a descrivere quanto possano essere utili certi “trucchetti” del mestiere. Malgrado la gelosia nei confronti del suo lavoro sia ben nota, in questo articolo l’attore fornisce diverse indicazioni utili ad apprendere una conoscenza basilare del trucco cinematografico e teatrale; grazie al quale ogni professionista avrebbe potuto ritoccare l’anatomia del proprio volto a favore dello spietato primo piano della macchina da presa.

L’articolo in questione può essere letto per intero all’interno del volume Fant’america 1 edito in occasione del XV festival internazionale del film di fantascienza di Trieste, e nella sua prima parte fa riferimento proprio al trucco teatrale e alle svariate difficoltà che gli attori hanno incontrato usando le stesse tecniche anche per le prolungate pose necessarie al cinema.

«La traspirazione, la polvere e il grande movimento richiesto davanti alla macchina da presa rendevano necessari molti ritocchi del cerone, così i truccatori cominciarono a sperimentare combinazioni che durassero di più.»

Theda Bara

Nella seconda parte, invece, Lon Chaney fornisce delle indicazioni tecniche riguardanti i diversi metodi di trucco; a cominciare dai materiali che un buon attore non deve mai dimenticare: crema emolliente, ceroni e matite di colori diversi, amido o polvere di alluminio per sbiancare i capelli, coloranti liquidi, pasta per il naso, gesso o stucco per modificare la faccia e collodio per le cicatrici. Grazie a questi e molti altri materiali, Chaney consiglia infine quali siano i metodi migliori per sembrare più vecchi, modificare la forma del naso, assumere lineamenti di etnie diverse e costruire denti finti.

Questi a altri consigli erano senz’altro usati da molti attori ma non tutti furono abili come Lon Chaney. In molti film muti non è difficile notare l’evidente differenza cromatica fra il colore della pelle nuda (per esempio delle delle braccia) rispetto a quella del viso. Queste differenze sono dovute al fatto che non sempre gli attori si cospargevano di cerone anche gli arti. Curavano il viso per la sua importanza espressiva ma tralasciavano il resto del corpo.

Fu proprio l’avvento del CLOSE-UP che determinò l’esigenza di una vera e propria innovazione nel campo del make up cinematografico.

Come abbiamo visto, prima degli anni ’30, il mestiere del truccatore non aveva una grande importanza: spesso gli attori si truccavano da soli e le problematiche dovute alla pellicola e alle luci di scena portavano a risultati pessimi o comunque poco apprezzabili. Fu in quegli anni che gli studios decisero di ricercare dei truccatori professionisti e nacque così la figura del MAKE UP ARTIST.

Curiosità: il make up artist ottenne un riconoscimento posticipato anche all’interno delle premiazioni agli Oscar. Venne creata una categoria a sé stante solo nel 1982 quando Rick Baker vinse grazie alla pellicola Un lupo mannaro americano a Londra (John Landis - 1981).

Differenza di resa tra la pellicola pancromatica (destra) e la pellicola ortocromatica (sinistra)

Solo nel 1962 la pellicola ortocromatica venne sostituita alla PANCROMATICA: ancora in bianco e nero ma sensibile a tutto lo spettro di colore. Grazia a questa innovazione le tonalità delle immagini acquistarono una nuova qualità e contrasti di colore decisamente più controllati.

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